Associazioni 2022. Le parole della presidente CNA Veneto Ovest Cinzia Fabris sullo speciale di oggi del Giornale di Vicenza.
Dentro a ognuno di noi c’è un piccolo imprenditore in potenza, che aspetta solo di uscire e cominciare a crescere. Un po’ semplificato forse, ma non così tanto lontano dal pensiero di CNA Veneto Ovest, che di questa nuova ars maieutica imprenditoriale ha scelto di fare la propria vocazione da qui ai prossimi mesi. Partendo da un assunto a tratti paradossale: il futuro è talmente carico di sfide… che non c’è momento migliore.
È così, presidente Cinzia Fabris?
Il concetto è proprio questo, e ce lo insegnano gli scenari economici: ogni investitore sa bene che le risorse vanno messe in campo proprio quando il mercato è nella fase più critica, per massimizzare i ricavi già dalla primissima ripartenza. E adesso che abbiamo superato l’ora più buia, di fronte ai primi bagliori di una nuova alba, non possiamo farci sfuggire l’occasione di investire in modo deciso sulla nostra autorealizzazione professionale.
Un messaggio in particolare rivolto a chi?
Io credo che nessuno debba sentirsi escluso. Penso ai giovani che hanno appena concluso gli studi, chiamati a trovare dentro di sé il coraggio di provare strade meno battute. Alle donne penalizzate sì dalla crisi in atto, ma stanche soprattutto di un sistema lavoro che non le valorizza a prescindere, tenendole sempre e comunque un passo indietro solo per il loro sesso. E anche ai tanti artigiani e imprenditori navigati, che un brutto giorno si sono svegliati in mezzo alla tempesta perfetta scoprendo che il loro abito di certezze e abitudini, fino a oggi sempre accomodato alla buona, è stato fatto letteralmente a brandelli.
«Ogni epoca ha conosciuto le sue difficoltà, in alcuni momenti perfino più marcate di queste. E alla fine ha sempre visto distinguersi chi ha imparato ad adattarsi anche agli scenari peggiori, navigando controcorrente».
Eppure non negherà che sono molti, a cominciare proprio da chi fa impresa, a dire che oggi è dura tirare avanti.
Ed è tutto verissimo. Dai problemi legati allo shock energetico all’inflazione galoppante. Dalla mancanza di manodopera alla carenza di materie prime. Sono tanti i fronti su cui si sta misurando anche la nostra associazione, sia a livello nazionale che sul territorio. Ma ogni epoca ha conosciuto le sue difficoltà, in alcuni momenti perfino più marcate di queste. E alla fine ha sempre visto distinguersi chi ha imparato ad adattarsi anche agli scenari peggiori, navigando controcorrente.
«Noi non diciamo che fare impresa sia per tutti, diciamo che tutti devono avere la possibilità di provarci, e devono essere messi nelle condizioni di riuscirci».
Ma quindi tutti dovrebbero diventare imprenditori?
Il concetto è un altro. Noi non diciamo che fare impresa sia per tutti, diciamo che tutti devono avere la possibilità di provarci, e devono essere messi nelle condizioni di riuscirci. Il metodo c’è e si può imparare, e se non diamo ascolto a questa voce che molti di noi hanno dentro, se non la aiutiamo a emergere, se non le diamo fiducia e non la facciamo crescere la perdiamo per sempre. Naturalmente c’è anche una serie di rischi di segno opposto a cui prestare attenzione.
Ovvero?
In primis quello di pensare che un’opportunità aperta a tutti sia automaticamente facile: anche il metodo più efficace, senza impegno e abnegazione non porta tanto lontano. E poi quello di confondere gli obiettivi. Spesso l’impresa di successo si misura sul livello di tornaconto economico del titolare, ma quello non deve essere considerato lo scopo prioritario. Tutti lavorano per guadagnare, ovvio. E meritano di produrre un benessere proporzionale ai loro sforzi. Però se penso che il mio punto d’arrivo sia una vita di lussi, ho proprio sbagliato in partenza. Lì però credo che la colpa sia soprattutto del modo che ha di raccontarsi un certo fare impresa, come abbiamo visto proprio di recente.
«Chi genera valore attraverso un’attività imprenditoriale riesce a farla crescere solo se, oltre a pensare giustamente al proprio benessere, è capace di redistribuire una parte di questo valore, contribuendo allo sviluppo condiviso del proprio contesto territoriale».
A cosa si riferisce?
Al messaggio pericoloso sorto intorno ai multimiliardari americani come Bezos o Musk, che nei mesi della pandemia sono riusciti a raddoppiare il proprio patrimonio mentre il mondo ha continuato a conoscere nuove forme di povertà. La verità è che l’impresa di successo non può e non deve favorire il divario tra classi, deve al contrario contribuire a colmarlo. Chi genera valore attraverso un’attività imprenditoriale riesce a farla crescere solo se, oltre a pensare giustamente al proprio benessere, è capace di redistribuire una parte di questo valore, contribuendo allo sviluppo condiviso del proprio contesto territoriale. Questa è l’impresa sana che vogliamo sostenere: un’impresa che investe continuamente per migliorare, per favorire un’occupazione etica, per crescere attraendo investimenti e opportunità. Un approccio molto più vicino alle attività di territorio che non ai grandi brand multinazionali.
E in tutto questo CNA come si pone?
La nostra missione è trovare il giusto equilibrio. Non vogliamo illudere nessuno promettendo strade facili per la ricchezza o vite trendy da raccontare sui social. Ma allo stesso tempo non possiamo permetterci di lasciare indietro i tantissimi che hanno già dentro di sé il “fattore I” di imprenditore, e hanno solo bisogno di qualcuno che li aiuti prima di tutto a scoprirlo, per poi coltivarlo e metterlo a frutto con visione e strategia. La nostra idea è essere sempre di più un’associazione “cantera” per i talenti imprenditoriali giovani di età – ma prima ancora di mentalità – che vogliono lavorare su se stessi per diventare i nuovi campioni del loro tempo.