C’è una forma di violenza di genere che fa meno rumore, in particolare a ridosso della ricorrenza del 25 novembre quando – doverosamente – si ricordano in primis le troppe vittime di femminicidi e soprusi che ancora macchiano le cronache dei nostri giorni. E riguarda proprio il rispetto dei diritti sul luogo di lavoro. Una violenza sottile, che a piccole dosi passa sotto traccia senza lasciare lividi evidenti, facendo però sentire eccome i suoi effetti sul lungo termine.
È il male dei mancati diritti, della disparità di accesso alle opportunità di carriera, del divario salariale, della mancanza di equità nella crescita. E voltarsi dall’altra parte di fronte a questi problemi, significa in qualche modo continuare a esserne complici, perpetuando un modello di esclusione che frena non solo le persone, ma l’intero sistema economico.
L’Italia e il Gender Gap: un arretramento preoccupante
L’Italia registra un preoccupante arretramento nella riduzione del gender gap, posizionandosi quest’anno all’87° posto nella classifica globale del Global Gender Gap Index con un punteggio di 0,703 su 1, scivolando di ben otto posizioni rispetto al 2023. Questo declino è ancora più evidente nel confronto con i Paesi europei, dove l’Italia occupa il 37° posto su 40, superando solo Ungheria, Repubblica Ceca e Turchia.
In ambito economico, il gender gap risulta particolarmente marcato: l’Italia si classifica 111ª, con una differenza di partecipazione alla forza lavoro del -17,4% tra uomini e donne (58,1% contro 40,7%) e una presenza femminile nei consigli di amministrazione ferma al 42,6%. Ancora più significativo è il dato relativo alla leadership: solo l’11,5% delle imprese ha una maggioranza di donne titolari, e il 15,3% è guidato da donne.
Nonostante questo, ci sono segnali di miglioramento in ambiti specifici. Nell’istruzione, l’Italia ha guadagnato quattro posizioni rispetto al 2023, collocandosi al 56° posto con un punteggio di 0,996. Le donne italiane sono sempre più qualificate, spesso con titoli di studio superiori rispetto agli uomini e una crescente esperienza internazionale. Tuttavia, il potenziale educativo non trova riscontro in una reale parità di accesso al mondo del lavoro e ai ruoli apicali.
È un problema che dobbiamo sentire tutti
Il mancato rispetto dei principi di parità di genere è un problema che anche dal punto di vista delle imprese va considerato su differenti livelli concentrici. Al centro c’è naturalmente l’aspetto sociale: inclusione ed equità vanno garantite perché è giusto. Punto.
Il livello più esterno rappresenta invece l’aspetto che tocca non solo le donne, ma riguarda proprio tutti. La competitività economica del nostro tessuto produttivo.
Investire sulla parità per le imprese non rappresenta infatti un ritorno solo in termini d’immagine. È infatti a tutti gli effetti una leva di crescita, come conferma il report Diversity Matters Even More di McKinsey (2023). Le aziende con una rappresentanza femminile superiore al 30% nei ruoli apicali hanno una probabilità significativamente maggiore di registrare rendimenti finanziari superiori, con incrementi di fatturato fino al 40% e un vantaggio finanziario medio del 27%.
Questo impatto positivo non è limitato a singoli settori o regioni: la relazione tra diversità e sovraperformance finanziaria si conferma costante in tutti i contesti analizzati. Dal 2015 ad oggi, la rappresentanza femminile nei ruoli di alto livello è cresciuta dal 15% al 39%, dimostrando che le politiche di inclusione e parità non solo migliorano l’equilibrio sociale, ma rafforzano la competitività aziendale.
Puntare ad avere più donne in azienda – e non solo in ruoli marginali – non rappresenta quindi una sola scelta etica, ma un’opportunità strategica per ottenere vantaggi competitivi duraturi e contribuire a un progresso economico e sociale più inclusivo.
Infine l’ultimo livello, quello dell’attrattività. Coinvolgere maggiormente le donne nel mercato del lavoro attraverso politiche che favoriscano la conciliazione tra vita familiare e lavorativa permette di contrastare la disoccupazione femminile e in parallelo ovviare almeno in parte al problema della carenza di personale.
Un’attrattività da orientare soprattutto verso le nuove generazioni, le più sensibili alle grandi battaglie della buona impresa, nonché sempre più densamente popolate di ingegneri, tecnici, consulenti e manager al femminile, alla ricerca della loro giusta collocazione professionale.
Un presente concreto anche per l’impresa locale: il caso Pasubio Tecnologia
Se i grandi brand e le industrie strutturate hanno già iniziato a fare i conti con la rivoluzione in atto, è l’impresa locale che rischia di prendersi in ritardo. E questo è un problema nel problema, dato che le Pmi occupano in Italia il 76,5% della forza lavoro, con una media addetti per impresa di 3,9 contro i 5,1 dell’UE e i 12,1 della Germania (dati Istat).
Ma c’è una voce che risuona forte fuori dal coro, è quella di Pasubio Tecnologia. Un società strumentale pubblica di servizi ICT, partecipata da 41 enti tra le province di Vicenza e Verona, che smentendo subito il luogo comune più classico tra chi opera in ambito STEM è ad altissima trazione femminile, con il 50% di donne in organico e la guida affidata alla visionaria amministratrice Laura Locci.
In tandem con il direttore Mario Scortegagna, hanno scelto CNA Veneto Ovest per ottenere – tra le prime partecipate locali d’Italia – la certificazione di parità di genere secondo la norma UNI/PdR 125:2022.
Insieme ai nostri consulenti hanno lavorato per oltre 16 mesi certificando procedure, analizzando contratti e passando sotto la lente tutti i processi aziendali, per arrivare al prestigioso traguardo riconosciuto da Rina Italy, la divisione italiana di uno dei più importanti enti di certificazione aziendale al mondo.
Ci impegniamo ad attuare concretamente e in modo strutturale i principi di parità di genere, e non solo per aumentare la presenza femminile in un settore ad alto tasso STEM come il nostro, ma per garantire pari opportunità di carriera a tutti i livelli, pari trattamento economico, condizioni di equilibrio tra vita lavorativa e personale, e un ambiente di lavoro libero da stereotipi. I consulenti CNA ci hanno fornito supporto e competenze per implementare le migliori pratiche in materia di uguaglianza di genere, e Pasubio Tecnologia non solo ha migliorato la propria cultura aziendale, ma ha anche posizionato sé stessa come modello per altre aziende nel territorio.
Un risultato purtroppo ancora più unico che raro, ma un impegno esemplare nella giusta direzione. Gli strumenti per proseguire nel solco dell’esperienza di Pasubio Tecnologia ci sono già tutti. Ora è il momento di trovare il coraggio per mettersi in gioco.
La certificazione di parità di genere rappresenta una battaglia giusta per le donne non solo nelle grandi realtà, ma anche nelle imprese locali e di territorio. È fondamentale quindi che questa diventi una battaglia per tutta l’imprenditoria diffusa, come motore di crescita per l’intera comunità.