Decreto liquidità, i dubbi di CNA
Il direttore Alessandro Leone avverte «Piccole imprese allo sbaraglio se lasciate sole. Sì ai debiti per investire, no ai tappabuchi. Riapertura graduale solo con un piano strategico».

Stefano Masiero

Referente Credito e Garanzie

alessandro leone direttore CNA Veneto Ovest

Il decreto liquidità non smette di lasciare perplessi artigiani e piccoli imprenditori, da qualunque verso lo si guardi. Se in prima battuta la misura non ha convinto per la natura generale del sostegno concesso – non liquidità “pura” ma garanzie a carico dello Stato su nuovi debiti da contrarre con il sistema bancario – adesso sono proprio le modalità attuative del provvedimento a generare preoccupazione.

«Al di là delle cifre in gioco – spiega Alessandro Leone, direttore generale di CNA Veneto Ovest – la realtà dei fatti è che le imprese sono lasciate allo sbaraglio se non hanno qualcuno che indichi loro la rotta, con il rischio che la battaglia sia destinata alla sconfitta ancora prima di cominciare, e su più fronti. Da un lato c’è il problema del sovraccarico del sistema bancario: il nostro Consorzio Fidi Sviluppo Artigiano calcola che per la maggior parte delle domande in partenza adesso difficilmente ci potranno essere risposte prima di giugno. E poi il vero rischio è che l’eventuale “corsa al credito”, oltre a generare overbooking, porti le aziende a indebitarsi in modo sbilanciato rispetto alle necessità, quelle del momento ma soprattutto quelle nel medio termine».

Richieste di credito solo con un piano d’emergenza

Per CNA adesso l’urgenza diventa quindi aiutare le imprese a mettere in campo un piano d’emergenza, che le aiuti a evitare di esporsi inutilmente agli aspetti più critici del decreto in assenza di determinati presupposti, o viceversa a ottenere la liquidità garantita in modo mirato e senza sorprese. In entrambi i casi risparmiando tempo, risorsa vitale per tutti. 

«Le imprese – prosegue Leone – devono inserire in questo piano diversi parametri per misurare il proprio reale bisogno di liquidità. Dal costo del personale ai fornitori, dalle spese per mutui e finanziamenti già in essere ai costi fissi come affitti o bollette. Ma vanno tenuti conto anche gli ammortizzatori sociali, le rateizzazioni o le sospensioni dei pagamenti che si possono attivare. Senza dimenticare gli stessi ricavi che si prevede di poter mettere a bilancio nei prossimi mesi, valutando anche gli scenari più pessimistici. Solo un quadro completo di informazioni come queste dà le dimensioni delle reali necessità aziendali, con un minimo di prospettiva».

No al debito “tappabuchi”

Ma l’aspetto fondamentale dell’intero approccio strategico sta nel considerare la richiesta di credito come funzionale a garantire nuovi investimenti in vista della riapertura, non per coprire buchi di bilancio.

«Dobbiamo essere ben chiari con le aziende – conclude Leone -: le richieste di credito fatte solo per guadagnare tempo, e senza visione, sono molto pericolose. Perché presto tardi qualcuno verrà a battere cassa. Sì invece a un piano investimenti che aiuti a ripartire con obiettivi chiari di un rientro economico da raccogliere una volta consolidata la Fase 2. Solo con queste premesse abbiamo in mano gli elementi per valutare la ripartenza – graduale e in piena sicurezza – di tutti i settori produttivi».  

Stefano Masiero

Referente Credito e Garanzie

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